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Aquarius

AQUARIUS di Kleber Mendonça Filho (Brasile 2016)

Articolo di  Paola Brunetta

 Tra i molti bei film che stanno uscendo in questa fine 2016 (Captain Fantastic di Matt Ross, E’ solo la fine del mondo di Xavier Dolan, Lion – La strada verso casa di Garth Davis, Paterson di Jim Jarmush), spicca Aquarius di Kleber Mendonça Filho, critico cinematografico passato alla regia e autore, in questo caso, del secondo lungometraggio dopo l’interessante O Som ao Redor (Neighboring Sounds, 2012), vincitore del premio FIPRESCI al Rotterdam Film Festival (mentre Aquarius è stato presentato al festival di Cannes, dove ha ottenuto il plauso della critica)

Profondamente brasiliano e legato alla vicenda dell’evoluzione di questa terra verso un capitalismo che non sempre è accettabile né corretto nelle modalità in cui opera, il film mostra il tentativo di un’impresa edile di far allontanare la protagonista, la sessantacinquenne Clara, dall’appartamento in cui abita e in cui ha vissuto anche la sua famiglia, a Recife, per costruirvi un residence fronte mare. Tentativo, dicevo, perché Clara resiste a questo con tutte le sue forze fino a scoprire, a fine film, qualcosa che le darà ragione anche in tribunale.

In realtà quest’aspetto della speculazione edilizia e del tentativo di espropriazione è secondario rispetto a due elementi, sui quali ora soffermerò la mia attenzione. Il primo è il ritratto di una donna potente, forte e tenera al contempo, interpretata da Sonia Braga, icona del cinema e della televisione brasiliani, nella sua fisicità matura e “vissuta”. Clara è una donna che ha davvero vissuto e l’ha fatto in sintonia con se stessa, con la propria identità più profonda, anche quando è andata controcorrente e ha reagito a ciò che non sentiva giusto per sé. E’ una lottatrice ma al contempo è una donna che mostra, anche in relazione all’operazione che ha subito per una malattia importante, tutta la sua vulnerabilità. E’ una donna che ha seguito sempre il suo cuore nelle scelte che ha fatto, che ha amato molto, dato e ricevuto molto, e che si è presa i piaceri che la vita le ha offerto, stando nell’apertura e non nella chiusura. Ha fatto il mestiere che le piaceva (il critico musicale) e ne ha ricavato gioia, tanto che le pareti del suo soggiorno sono tappezzate di dischi e di libri, oltre che delle locandine dei film amati. Ed è una donna di principi, che non rinuncia a se stessa e al proprio passato quindi alle proprie radici, rappresentate dalla casa che non vuole lasciare.

In questo senso il film è un meraviglioso inno alla vita: è dalla sua età vissuta che Clara si rapporta al mondo, e lo fa ancora leggendo, ascoltando musica, ridendo, amando, affiancando le persone care, sostenendo le idee in cui crede.

L’altro elemento notevole del film riguarda il modo in cui è girato e investe innanzitutto la struttura, aperta e come slabbrata, poi il ritmo che è lento, disteso, sereno come quello della vita quando la si vive senza fretta, senza assilli; nell’ascolto di sé e di quello che più profondamente si desidera.  

 

Paola Brunetta

 

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